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Contratti pirata, un’emergenza per il Paese: anche Confcommercio provincia di Varese chiede regole certe e vigilanza efficace

In Italia oltre 200 accordi sottoscritti da sigle minori tagliano salari e tutele. Lombardia e Varese non sono immuni: percentuali ridotte significano comunque migliaia di imprese e lavoratori coinvolti. Gli esempi di Francia e Germania

VARESE – Il dumping contrattuale rappresenta una delle minacce più gravi per il mercato del lavoro e la competitività delle imprese. In Italia si contano oltre 200 contratti collettivi sottoscritti da sigle prive di rappresentatività, che si affiancano al CCNL del terziario, distribuzione e servizi di Confcommercio, il più applicato e tutelante, con circa 2,5 milioni di addetti coperti.

Il divario tra un contratto sottoscritto da organizzazioni realmente rappresentative e uno “pirata” è enorme: un lavoratore può perdere fino a 8mila euro lordi all’anno, oltre a dover rinunciare a welfare integrativo, copertura per malattia o infortunio e regole chiare su orari e turni. Una spirale che penalizza i lavoratori, scoraggia i consumi e alimenta concorrenza sleale tra imprese.

L’Italia indietro rispetto all’Europa

Il nostro Paese resta in evidente ritardo rispetto ad altri grandi Paesi europei. In Germania, il principio della Tarifautonomie garantisce criteri rigorosi di rappresentatività e l’estensione automatica dei contratti collettivi a tutto il settore. In Francia, i contratti sono validi solo se firmati da organizzazioni che rappresentano almeno il 50% dei lavoratori e possono essere estesi erga omnes tramite decreto ministeriale.

In Italia, invece, l’assenza di regole certe sulla rappresentatività e di un meccanismo di estensione universale lascia spazio a una proliferazione di contratti al ribasso, che diventano strumenti di competizione sleale.

Le proposte di Confcommercio

«I lavoratori delle nostre imprese sono un patrimonio di competenze e professionalità – ricorda il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli (nella foto con il segretario generale Marco Barbieri) – e per questo non possiamo accettare che vengano svalutati da accordi sottocosto. Servono regole certe, più controlli e un impegno forte da parte del Governo».

Confcommercio chiede un sistema di certificazione della rappresentatività di sindacati e associazioni datoriali, capace di distinguere gli accordi validi da quelli sottoscritti da sigle prive di peso reale. Propone inoltre un codice identificativo univoco da riportare in ogni contratto individuale e nelle banche dati pubbliche, così da garantire la piena tracciabilità.

Fondamentale anche il rafforzamento della vigilanza: ispettori dotati di strumenti per valutare rapidamente la qualità contrattuale sono essenziali per contrastare pratiche scorrette. Infine, Confcommercio indica nella bilateralità,  con i suoi servizi di welfare, formazione e sicurezza, un modello da potenziare e riconoscere come garanzia di qualità contrattuale.

Una questione di sistema

«Il CCNL che sottoscriviamo – spiega il segretario generale di Confcommercio, Marco Barbieri – è un contratto innovativo che coinvolge milioni di lavoratori e garantisce tutele avanzate. Minare questa contrattazione significa indebolire l’ossatura stessa del Paese, fatta di piccole e medie imprese che sostengono l’economia e l’occupazione».

Una posizione condivisa dal segretario generale di Uniascom Confcommercio provincia di Varese, Lino Gallina: «La Lombardia e Varese hanno dimostrato che un mercato del lavoro trasparente è possibile. Ma la sfida è nazionale: solo regole comuni e controlli stringenti possono garantire giustizia sociale e concorrenza leale, impedendo che le pratiche scorrette di pochi danneggino tutti».

Lombardia e Varese: numeri tra i più bassi

La Lombardia si colloca tra le regioni più virtuose, con un’incidenza media pari all’1,5%. Nel dettaglio provinciale emergono differenze interessanti: Milano registra il 2,18%, mentre realtà come Bergamo (0,64%), Como (0,62%) e Lodi (0,62%) figurano tra le migliori d’Italia.

In questo scenario si distingue la provincia di Varese, con appena lo 0,82% dei dipendenti legati a contratti pirata. Un dato che colloca il territorio varesino tra i più virtuosi non solo a livello regionale, ma anche nazionale.

«Il nostro territorio si distingue per correttezza e trasparenza – osserva Rudy Collini, presidente di Uniascom Confcommercio provincia di Varese – ma se altre aree del Paese restano fortemente esposte ai contratti pirata, le conseguenze ricadono su tutti, creando squilibri competitivi che penalizzano le imprese che rispettano le regole».

Le differenze territoriali: il Sud paga il prezzo più alto

L’indagine di Confcommercio, basata su dati CNEL, mette in luce un’Italia divisa. In diverse province del Mezzogiorno il fenomeno ha assunto proporzioni drammatiche. A Vibo Valentia oltre un quarto dei lavoratori (26,4%) è inquadrato con contratti pirata. Seguono Cosenza (13,5%), Palermo (12,8%), Lecce (12,6%), Trapani (10,5%) e Isernia (10,0%), dove un dipendente su dieci è privo di tutele piene.

La criticità si riflette anche a livello regionale: in Calabria più dell’11% dei lavoratori è coinvolto, in Sicilia e Campania le percentuali superano il 9%.

Le aree più virtuose

Il quadro cambia radicalmente risalendo la penisola. In Trentino-Alto Adige i contratti pirata incidono per appena lo 0,7% dei lavoratori, in Valle d’Aosta per lo 0,8% e in Friuli Venezia Giulia per circa l’1,1%.

A livello provinciale spiccano valori molto bassi: Treviso (0,37%), Biella (0,39%), Bolzano (0,44%), Belluno (0,49%) e Imperia (0,51%). Sono territori dove il fenomeno esiste ma rimane residuale, a dimostrazione che un mercato del lavoro sano e competitivo è possibile.

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